Battle of Stalingrad

La Stampa (February 1, 1943)

La lotta all’ultimo sangue tra le macerie di Stalingrado

I difensori superstiti, stretti intorno alla bandiera da guerra del Reich, fanno argine dei loro petti contro la massa sovietica attaccante

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Berlino, 1 febbraio –
La nomina del comandante della gloriosa 6.a Armata germanica colonnello generale Paulus a Feldmaresciallo è venuta a coincidere con il momento culminante del dramma di Stalingrado.

Dall’inizio degli assalti con cui le armate sovietiche hanno tentato di sommergere, mediante una azione a marea, il bastione di Stalingrado, il generale Paulus è stato costantemente accanto alle sue truppe. In circostanze di un’asprezza senza pari, egli ha saputo dare prova dì qualità superiori: sangue freddo, spirito combattivo, chiarezza di visione strategica, risolutezza nella condotta tattica. Fin dalle prime fasi della battaglia, egli ha interpretato la consegno, a lui affidata nella forma più rigorosa, ravvisando quale sue compito supremo quello dì immobilizzare nello spazio di Stalingrado la maggiore quantità possibile di truppe e di armi sovietiche.

L’ultima fase della resistenza

Le privazioni di ogni sorta che sono state imposte di combattenti di Stalingrado dal fatto di essere stretti di assedio su piccolissimo spazio, le ha egli stesso conosciute: sin dall’inizio dell’assedio egli ha voluto infatti condividere la stessa sorte dei semplici combattenti.

L’altissima distinzione decretata dal Führer tocca ad un uomo che oggi, nell’epica fase finale della lotta, combatte egli stesso con l’arma in pugno accanto ai suoi uomini.

Col generale Paulus, il Führer ha associato nell’alta distinzione! un altro comandante superiore delle forze di Stalingrado, il generale di artiglieria Heitz, preposto al comando di un corpo d’armata, che ha pure partecipato a questa epica azione di resistenza; egli è stato ora nominato maggior generale.

Nelle distinzioni concesse a questi due ufficiali superiori, la nazione tedesca vede onorati indistintamente tutti i combattenti di Stalingrado. La doppia nomina fa definitivamente giustizia della canagliesca agitazione inscenata dai moscoviti, con l’appoggio compiacente della propaganda anglosassone; il nemico, pur essendo perfettamente a conoscenza delle prove di valore fornite da questi due alti ufficiali germanici, ha diffuso, come si sa, una quantità di false notizie, e in particolare sul Feldmaresciallo Paulus, pretendendo, a più riprese, che egli avesse lasciato in aeroplano lo spazio di Stalingrado.

Le informazioni che qui ci sono fornite a complemento del bollettino di ieri confermano come la lotta a Stalingrado stia divenendo di ora in ora sempre più drammatica.

Le forze antibolsceviche si difendono in due gruppi staccati, l’uno nel cosiddetto palazzo della Ghepeù, l’altro più a nord nella fabbrica di trattori. Grazie a nuovi poderosi ammassamenti dì forze, il nemico ha iniziato da ieri una ancora più decisa azione concentrica. Carri armati su carri armati sono stati lanciati da ogni parte contro i difensori della città.

Nonostante i colpi di maglio aferrati dalle formazioni corazzate, nonostante il concentramento di fuoco dei grossi calibri, il nemico si è trovato però ancora una volta nell’impossibilità di cogliere la sperata decisione. Le sue fanterie hanno rinnovato gli attacchi a ondate, ma sono state sistematicamente falciate davanti alle posizioni germaniche.

I sovietici continuano tuttavia ad attaccare a fondo, nell’intento di obbligare gli assediati a intaccare le loro ultime riserve di munizioni. E’ appunto per l’esaurirsi delle munizioni che una parte del concentramento sud è stato posto nell’impossibilità di fronteggiare la pressione nemica. Malgrado il dilagare della massa sovietica, questo nucleo germanico ha cercato di prolungare la resistenza con una accanita serie di combattimenti corpo a corpo finché è stato definitivamente sommerso. I sopravvissuti a quest’ultimo generoso tentativo inteso a far si che il gruppo principale avesse il tempo necessario per stabilire una nuovo linea di sbarramento sono stati fatti prigionieri dai sovietici.

Quel che resta delle forze che componevano originariamente il gruppo Paulus è ora asserragliato entro le rovine del palazzo della Ghepeù, al sommo del quale continua a sventolare, ormai ridotta in lembi gloriosi, la bandiera di guerra del Reich.

L’ultima fase della resistenza, che e diretta personalmente dal Feldmaresciallo Paulus, sconfina nel sovrumano.

Gli eroi di Stalingrado si battono sino all’ultimo sangue affrontando il supremo sacrificio per fare argine con i loro corpi contro la massa sovietica, e per assorbire l’impeto offensivo quali frangiflutti avanzati dello sbarramento che le forze antibolsceviche hanno creato più a occidente, a sai vaguardia dell’Europa.

Consolidamento all’estremo sud

Le ripercussioni strategiche di questa accanita, eroica resistenza si manifestano frattanto in modo sempre più evidente. L’impossibilità di scalzare il baluardo di Stalingrado entro il termine previsto nei piani del comando sovietico, ha impedito a quest’ultimo di concentrare le sue forze negli altri settori di attacco, con la tempestività e nelle proporzioni necessarie.

In motti settori, e soprattutto all’estremo sud, la situazione si va così lentamente consolidando a fa vore degli antibolscevichi, che sono in grado di portare programviaticamente a termine le loro operazioni di rettifica del fronte.

Contro i tentativi che il nemico cerca tuttora di svolgere in direzione del basso. Don, il Comando germanico interviene attualmente oltre che con lo sviluppare ulteriormente le puntate controffensive del suoi «panzer», con potentissimi attacchi a catena delle sue formazioni di bombardieri e di aeroplani da combattimento operanti con esiziali attacchi a volo radente contro i concentramenti di forze sovietiche. La Luftwaffe svolge in questo momento il massimo dì pressione nella zona a ovest di Voronez a sostegno dell’aspra battaglia colà sostenuta, sia sulla difensiva che in contrattacchi dalle truppe germaniche e alleate. Formazioni aeree specializzate nella lotta anticarro sono scatenate in pieno contro le colonne corazzate con cui i sovietici cercano dì aprirsi la via verso occidente.

Questa azione è stata coronata nelle ultime ventiquattro ore da considerevoli successi: il nemico ha qui perduto un gran numero di carri armati e in più alcune centinaia di autocarri. La caccia di accompagnamento ha impegnato accaniti duelli aerei con l’aviazione sovietica: ventotto apparecchi nemici sono stati abbattuti contro due tedeschi. La maggior parte degli apparecchi perduti cai sovietici sono costituiti da aeroplani del tipo cosiddetto corazzato, nonché da bimotori del tipo.

Guido Tonella

Reading Eagle (February 1, 1943)

Red Army wipes out Nazis at Stalingrad

Few remaining invaders cling desperately to imperiled positions; field marshal and 15 German generals taken prisoner

Moscow, USSR (INS) –
Complete liquidation of German forces surrounded in the western part of Stalingrad was announced today by the Soviet High Command. The Red Army is now concentrating on wiping out the last remnants of the one-time Nazi siege army of 330,000 troops still clinging desperately to positions in the northern part of the city.

Announcing details of the greatest loss suffered by Hitler’s armies, the High Command declared at noon that Soviet troops were continuing to wipe out the remains of German detachments still at Stalingrad. The communiqué reported a force of 900 had been either killed or taken prisoner during the night.

Destruction of those units of the beaten Nazi 6th Army west of the central part of Stalingrad resulted in the capture of 16 German generals, among them the commander-in-chief, Field Marshal Friedrich Paulus.

Another Nazi force threatened

With the annihilation or capture of all but a handful of the 22 German divisions which Hitler promised his people would surely take Stalingrad, Russian armies in the West Caucasus threatened destruction of another enemy force almost equal in number.

The Red Army driving north and west through the Caucasus smashed to within 30 miles of the city of Krasnodar where they threatened to close in on an estimated 300,000 Germans pocketed below Rostov.

The noon communiqué said that in the North Caucasus, its surging armies had gained control of several more inhabited localities.

A column of Nazi infantry was routed when the Soviets penetrated to the rear of the German forces and captured much war material. Cossack cavalrymen annihilated one enemy infantry column in a daring night raid which liberated several localities.

German retreat blocked

In seizing the district center of Belorechenskaya, the High Command said, the Russians reached a highway and cut off the retreat of a German unit. They captured 200 trucks, other war material and took 180 prisoners.

Three inhabited localities were occupied on the Southern Front before Rostov as the Red Army advanced after repelling counterattacks. Two platoons of enemy infantry were wiped out when two counterassaults were repelled on one sector.

Announcement was made of the seizure of a number of inhabited localities on the Southwestern Front in the drive toward the Ukrainian steel city of Kharkov. In one battle, 500 German dead were left on the field. In another sector, a Guards unit penetrated to the rear of the German line and routed a reserve battalion attempting to move up to the front.

Troops encircled

West of Voronezh, 300 miles northwest of liberated Stalingrad, the Soviets proceeded to mop up encircled German and Hungarian troops.

In the area of Kastornoye, 75 miles east of Kursk, a large enemy detachment was wiped out. In addition to the untotaled number killed, 1,750 were taken prisoner. An armored train was destroyed on one sector.

Details of the destruction of the Nazi siege army before Stalingrad was announced in a special communiqué which disclosed terrific losses to the Germans in dead.

The hero Paulus, not sure if the Nazis would hold on to that view in future :stuck_out_tongue_closed_eyes:

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Lol, yes so true. How ironic.

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Völkischer Beobachter (February 2, 1943)

Südgruppe der 6. Armee von der Übermacht überwältigt –
Weiterer Widerstand im Norden Stalingrads

dnb. Aus dem Führer-Hauptquartier, 1. Februar –
Das Oberkommando der Wehrmacht gibt bekannt:

In Stalingrad ist die Südgruppe der 6. Armee unter Führung des Generalfeldmarschalls Paulus nach mehr als zwei Monaten heldenhafter Verteidigung von der Übermacht des Feindes im Kampf überwältigt worden. Die Nordgruppe unter Führung des Generals der Infanterie Strecker behauptet sich noch immer. Sie wehrte starke feindliche Angriffe zum Teil im Gegenstoß ab.

An den übrigen Brennpunkten der großen Abwehrschlacht im Osten dauern die Kämpfe mit unverminderter Heftigkeit an. Versuche des Feindes, im westlichen Kaukasus unsere Abwehrfront zu durchstoßen, scheiterten. Zwischen dem Kaukasus und dem unteren Don kam es nur zu Kämpfen zwischen eigenen Nachhuten und dem schwach nachdrängenden Feind, ohne daß die Marschbewegungen der Masse unserer Truppen gestört wurden.

An der Donezfront und südwestlich von Woronesch kam es zu schweren Kämpfen, die noch andauern. Am Ladogasee griff der Feind nach den schweren Verlusten des Vortages nur mit schwächeren Kräften an. Alle Angriffe wurden abgewiesen.

Durch Verbände des Heeres wurden in der Zeit vom 21. bis 31. Jänner an der Ostfront 517 Panzer zerstört, erbeutet oder bewegungsunfähig geschossen.

In Afrika wurden heftige Angriffe gegen die Stellungen der deutsch-italienischen Afrikaarmee in Westtripolitania unter erneuten schweren Verlusten für den Feind abgewiesen. Die Kämpfe um die in Tunesien in den letzten Tagen genommenen Stellungen halten an.

Deutsche Kampfflieger bombardierten erneut den Hafen von Bone. In Luftkämpfen und durch Flakartillerie der Luftwaffe wurden im Mittelmeerraum 15 nordamerikanische und britische Flugzeuge abgeschossen. Ein eigenes Flugzeug wird vermißt.

Deutsche Unterseeboote versenkten im Jänner 1943 unter schwersten Wetterbedingungen, die sich zeitweise bis zum Orkan steigerten, 63 feindliche Handelsschiffe mit 408.000 BRT. Zehn weitere Schiffe wurden torpediert. Ihr Untergang konnte nicht beobachtet werden, ist aber deutschen U-Boote nicht nur die Versorgung der Insel England stark beeinträchtigt haben, sondern ihre Wirksamkeit auch gegen alle militärischen Unternehmungen unserer Feinde zeigen, die nun einmal in jedem Falle von den Nachschubwegen über See abhängig sind. Die Vernichtung bei den schweren Seegangsverhältnissen anzunehmen. Die Luftwaffe versenkte aus feindlichen Geleitzügen im Mittelmeer achtzehn Handelsschiffe mit zusammen 114.000 BRT. und zwei Zerstörer. Darüber hinaus wurden 37 Handelsschiffe mit 209.000 BRT., ein Kreuzer, zwei Zerstörer und zwei Bewacher beschädigt. Unter schwierigsten Kampfbedingungen wurden somit im Monat Jänner mindestens 522.000 BRT. feindlichen Handelsschiffsraums vernichtet.


Es bedürfte der Betonung des deutschen Stolzes auf die Helden von Stalingrad nicht, um ihren tapferen Taten ein unvergängliches Denkmal zu setzen. Die hämischeste Glosse dürfte sich an die Schmähungen eines Soldatentums nicht wagen, das unter ungünstigen Bedingungen einem überlegenen Gegner diesen Widerstand leistete, für den der Name der Wolgastadt durch die 6. deutsche Armee nun ein Begriff geworden ist. Auch die Bolschewisten werden angesichts der ungemessenen Opfer nun, nachdem die Südgruppe der konzentrierten Zusammenballung von Menschen und Material erliegen mußte, zu einem billigen Triumphgeschrei wenig Grund sehen, es sei denn, daß ihnen die Tatsache eines solchen Erfolges über deutsche Truppen an sich schon dafür genügte.

Sie haben zwei Monate eines auch nach den Riesenausmaßen der Sowjetunion gigantischen Aufgebots gebraucht, um auf den Trümmern ihrer Angriffsarmee diesen Tag zu erleben. Und noch immer haben sie in der Nordgruppe einen Gegner vor sich, dessen zähe Abwehr die starken Feindangriffe so tapfer überdauerte, daß die Bolschewisten zum Teil sogar im Gegenstoß zurückgeschlagen werden konnten. Nicht an die Tatsache, daß die Übermacht des Feindes einen ersten Teil schließlich im Kampf überwältigte, sondern an das Vorbild aller Soldaten der 6. Armee binden wir den Begriff Stalingrad, die, gleich ob General oder Grenadier, jede herkömmliche Vorstellung von Mut und Ausdauer übertrafen.

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Yep :+1: Stalingrad is the first destroyed Army an great example for the rest of the Nibelungen Loyalty gang :smiling_imp:

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The Free Lance-Star (February 2, 1943)

Russians cleaning up last of Germans in Stalingrad

Many surrender, others being destroyed; Reds continue to advance in south

Moscow, USSR (AP) –
Captured Germans and their allies, shivering in an icy wind, filled the broken, blasted streets of Stalingrad today as the Russian Army methodically slaughtered others who still offered some resistance in a northern sector of the formerly besieged city.

Bombs, shells, machine-gun and sniper fire were wiping out those who continued to resist.

The newspaper Pravda said it was impossible to count captives, who were still pouring in and asking:

Where is the place you surrender?

The newspaper Red Star said that returning citizens and those who had remained behind looked at the captives without pity:

…remembering the horrible nights and days when they were wrecking the city with shells and bombs.

Captives revealed, the newspaper said, that during their last stand, they had eaten horses, cats and dogs.

Dismal sight

In the cellar of one building, 3,000 soldiers and officers lay upon the cold floor. Some were dead, others were dying of wounds or starvation.

Sappers were clearing the streets of mines, many imbedded in broken pavements and sidewalks.

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Nazis announce two generals killed

New York (AP) –
The German High Command announced today that the defensive ring of the German 11th Army Corps in Stalingrad has been breached and that Russian troops have broken into “the last bulwark of the defenders” in several places. The broadcast announcement was recorded by the Associated Press.

Berlin military quarters announced the death of two German generals, Lt. Gen. von Hartmann and Maj. Gen. Stempel, who died, the Berlin broadcast said, “at the head of their troops after weeks of resistance against overwhelming enemy superiority” in the fighting at Stalingrad.

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Everything sounds better in Italian :sunglasses:

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Völkischer Beobachter (February 3, 1943)

Die gesamte Ostfront in schweren Abwehrkämpfen –
Heldenkampf um die letzte Bastion Stalingrads

dnb. Aus dem Führer-Hauptquartier, 2. Februar –
Das Oberkommando der Wehrmacht gibt bekannt:

In Stalingrad setzte der Gegner nach stärkster Artillerievorbereitung mit weit überlegenen Kräften gegen die letzte Bastion der Verteidiger, das Traktorenwerk, zum Angriff an. In der Nacht gelang es ihm, nachdem unsere heldenhaft kämpfenden Truppen ihre Munition nahezu verschossen hatten, an mehreren Stellen einzubrechen und den bis dahin zusammenhängenden Verteidigungsring des XI. Armeekorps aufzusprengen.

Vom Kaukasus bis zum mittleren Don und am Ladogasee stehen unsere Armeen in schweren Abwehrkämpfen, deren Härte an einzelnen Abschnitten noch zugenommen hat. Auf dem Südflügel der Ostfront wurden Versuche des Feindes, die planmäßigen Marschbewegungen der deutschen und verbündeten Truppen zu stören, abgewehrt. An der Donezfront und im Raum von Woronesch griff der Feind weiter mit neu herangeführten starken Kräften an. Versuche, unsere Front durch Überflügelung und Umfassung einzudrücken, scheiterten unter hohen Verlusten. Die Kämpfe dauern noch an.

Starke Kampf-, Sturzkampf- und Schlachtfliegerverbände griffen an den Schwerpunkten der erbitterten Kämpfe die feindlichen Truppenmassierungen, Stellungen und Kolonnen an. Sie fügten dem Feind schwerste Verluste an Menschen, Fahrzeugen und Waffen zu.

In den Bergen Tunesiens hatten eigene Angriffe, wirksam unterstützt von Sturzkampfflugzeugen, vollen Erfolg.

Mit Kolben, Bajonett und Spaten

German Army Nazi wehrmacht heer general Karl Strecker
General der Infanterie Strecker (Aufn.: Weltbild)

dnb. Berlin, 2. Februar –
Im Norden von Stalingrad bewiesen Soldaten aller deutschen Gaue unter Führung des Generals der Infanterie Strecker am 1. Februar von neuem, wie deutsche Männer unter schwersten Bedingungen zu kämpfen und zu trotzen verstehen. Pausenlos überschüttete der Feind die Verteidiger des Industriegeländes mit seinen Geschossen, die alles, was tagelange erschöpfende Arbeit in den Gefechtspausen an Kampfanlagen geschaffen hatte, zerschlugen. Die zusammenstürzenden Mauern und Gewölbe begruben Männer und Waffen unter sich, aber die Kameraden gruben die Verschütteten mitten im tobenden Feuer wieder aus. Doch neue schwere Einschläge schleuderten die Retter beiseite und die eben erst Geborgenen mußten sich ihrerseits auf die Trümmerhaufen stürzen, um jetzt ihre verschütteten Befreier aus dem Schutt herauszuwühlen.

Stundenlang ging dieser erbitterte Kampf, bei dem unsere Soldaten gegen das Trommeln der feindlichen Artillerie nichts einzusetzen hatten als nur ihren eisernen Willen, zu leben und zu kämpfen. In der kurzen Feuerpause, die der Feind gab, um seine eigenen Sturmtruppen nicht zu gefährden, brachten die Verteidiger die Waffen wieder in Stellung und nahmen den Kampf gegen die Übermacht auf. Gurt um Gurt jagten die Maschinengewehre ihre Geschosse gegen die im grellen Licht der Leuchtkugeln anstürmenden Bolschewistenhäufen. Der Feind mußte zu Boden, zog dann aber seine schweren Waffen näher heran, hämmerte auf die MG.-Stände und zerstörte sie schließlich. Wenn er eine Lücke geschlagen hatte, drückte er durch, bis sich unsere Männer mit Handgranaten und blanker Waffe den Stoßtrupps entgegenwarfen.

Hin und her wogte das heiße Ringen, über die Leiber der gefallenen Bolschewisten rückten jedoch immer neue Angreifer vor. Was das schwere Feuer nicht geschafft hatte, gelang jetzt der Übermacht. Ihre Masser drückte den Widerstand der Verteidiger, die ihre letzte Patrone verschossen hatten und nur noch mit Kolben, Bajonett und Spaten dem Feind gegenüberstanden. Sie schlugen so hart zu, wie sie noch konnten, aber dennoch mußten sie Schritt um Schritt weichen. Wenn ihr Verteidigungsring auch aufbrach, sie verloren nicht ihren heldischen Mut. Sie kämpfen weiter und halten, um ihren Oberbefehlshaber geschart, immer noch stand.

An der Südfront lag der Schwerpunkt der Kämpfe am 1. Februar im Gebiet vom Donezbogen bis westlich Woronesch, während unsere Truppen an den Fronten zwischen Westkaukasus und Don ihre Bewegungen ungestört durchführten und den nachdrängenden Feind in energischen Gegenstößen zurückschlugen, östlich Noworossijsk und im Raum südwestlich und westlich Krasnodar scheiterten die Angriffe mehrerer sowjetischer Bataillone, obwohl sie von starker Artillerie und zahlreichen Flugzeugen unterstützt waren. Ebenso blieben die Versuche des Feindes, die Abwehrfront am unteren Manytsch einzudrücken, ohne Erfolg. Unsere Truppen beschränkten sich aber nicht auf das zähe Halten ihrer Stellungen, sondern die schnellen Verbände gingen mehrfach zu Gegenangriffen über, bei denen sie überraschend in die Bereitstellungen der Bolschewisten einbrachen und die dort aufmarschierten Truppen zersprengten. Siezerschossen bei ihren kühnen Vorstößen mehrere Panzer und brachten Gefangene ein.

Auch die Luftwaffe beteiligte sich mit starken Kräften am Zerschlagen der feindlichen Truppenansammlungen. Die Sturzkampfflugzeuge starteten schon in der ersten Morgendämmerung und luden Tausende von Bomben über den nachrückenden Kolonnen und den Truppenunterkünften des Feindes ab. Sie vernichteten über 140 Fahrzeuge, zersprengten marschierende Infanterie- und Kavallerieeinheiten und warfen sechs Transportzüge in Brand.

Am unteren Donez flaute die Kampftätigkeit wieder ab. Vereinzelte Vorstöße des Feindes an den bisherigen Brennpunkten blieben vergeblich. Zwischen Donezbogen und dem Raum westlich Woronesch nahmen dagegen die Angriffe nach Zahl und Stärke zu. Mit frisch herangeführten Truppen glaubte der Feind durch seinen wachsenden Druck auf unsere Flanken die Abwehrfront eindrücken zu können, doch scheiterten diese Versuche unter Abschuß zahlreicher Panzer.

Brooklyn Eagle (February 3, 1943)

Germans mourn Stalingrad with funeral march

Goebbels orders all amusement places shut until Saturday

Berlin, Germany (UP) – (German broadcast recorded in New York)
The German High Command officially announced today that the resistance of Axis troops in the Stalingrad area had ceased. The communiqué said:

The last defenders succumbed to superior forces.

Propaganda Minister Paul Joseph Goebbels ordered closing of all German theaters and amusement places until Saturday because of the defeat at Stalingrad.

The German radio played funeral music after the announcement. It included a funeral march from Götterdämmerung and the German soldiers’ song, “I Had a Comrade.”

Three drives on Rostov

Moscow, USSR (UP) –
Three Russian columns closed in today on Rostov, the gateway to the Caucasus, driving forward steadily in an offensive that rivaled In Importance their triumph at Stalingrad.

London said Russian big guns were shelling Rostov from only 30 miles away and that Soviet units were advancing on Bataysk, 10 miles from Rostov’s outskirts.

The Red Army threatened another major breakthrough on the Southwestern Front, north of Rostov, menacing Voroshilovgrad, a Donets Basin industrial center, the Kharkov, the “Pittsburgh of Russia” and an anchor point in the German defense system.

Soviet troops were advancing from four sides on Krasnodar, the capture of which would be a stepping-stone to capitulation of Kushchevka, the last major German-held railroad junction in the Caucasus.

Stalingrad battle ends

Meanwhile, new life surged through Stalingrad after a night of eerie quiet which followed the surrender or death of the last of the 330,000 German and satellite troops whom Adolf Hitler sacrificed in his vain attempt to make good his boast that the Red bastion of the Volga would fall.

In the final hours, resistance had been carried on by groups of German officers in pillboxes, dugouts and fortified buildings. German soldiers had shot many officers who refused to yield.

Russian troops, entering the last of the enemy strongholds, found 3,000 Germans lying in rags on the floor of one great underground hospital. Many were dead.

Natives return to city

Today the women and children and the scattering of aged men of the civilian population who had survived the siege, many of them in caves in the high Volga bank, emerged to seek the ruins of their homes.

Thousands of frozen German bodies still littered the streets, thousands more lay where they had fallen in fortified buildings or in the many underground field hospitals where they had died of wounds, disease or the cold.

Völkischer Beobachter (February 4, 1943)

Der Kampf der 6. Armee um Stalingrad zu Ende –
Sie starben, damit Deutschland lebe!

Stalingrad ruft zur Taft!

sta
(Zeichnung: Mjölnir)

Getreu ihrem Fahneneid

Zweimal die Aufforderung zur Übergabe stolz abgelehnt

dnb. Aus dem Führer-Hauptquartier, 3. Februar –
Das Oberkommando der Wehrmacht gibt bekannt:

Der Kampf um Stalingrad ist zu Ende. Ihrem Fahneneid bis zum letzten Atemzug getreu, ist die 6. Armee unter der vorbildlichen Führung des Generalfeldmarschalls Paulus der Übermacht des Feindes und der Ungunst der Verhältnisse erlegen, Ihr Schicksal wird von einer Flakdivision der deutschen Luftwaffe, zwei rumänischen Divisionen und einem kroatischen Regiment geteilt, die in treuer Waffenbrüderschaft mit den Kameraden des deutschen Heeres ihre Pflicht bis zum Äußersten getan haben.

Noch ist es nicht an der Zeit, den Verlauf der Operationen zu schildern, die zu dieser Entwicklung geführt haben. Eines aber kann schon heute gesagt werden: Das Opfer der Armee war nicht umsonst. Als Bollwerk der historischen europäischen Mission hat sie viele Wochen hindurch den Ansturm von sechs sowjetischen Armeen gebrochen. Vom Feinde völlig eingeschlossen, hielt sie in weiteren Wochen schwersten Ringens und härtester Entbehrungen starke Kräfte des Gegners gebunden. Sie gab damit der deutschen Führung die Zeit und die Möglichkeit zu Gegenmaßnahmen, von deren Durchführung das Schicksal der gesamten Ostfront abhing.

Vor diese Aufgabe gestellt, hat die 6. Armee schließlich auch durchgehalten, als mit der Dauer der Einschließung und dem Fortgang der Operationen die Luftwaffe, trotz äußerster Anstrengungen und schwerster Verluste, außerstande war, eine ausreichende Luftversorgung sicherzustellen, und die Möglichkeit des Entsatzes mehr und mehr und schließlich ganz dahinschwand. Die zweimal vom Gegner verlangte Übergabe fand stolze Ablehnung. Unter der Hakenkreuzfahne, die auf der höchsten Ruine von Stalingrad weithin sichtbar gehißt wurde, vollzog sich der letzte Kampf. Generale, Offiziere, Unteroffiziere und Mannschaften fochten Schulter an Schulter bis zur letzten Patrone. Sie starben, damit Deutschland lebe. Ihr Vorbild wird sich auswirken bis in die fernsten Zeiten, aller unwahren bolschewistischen Propaganda zum Trotz. Die Divisionen der 6. Armee aber sind bereits im neuen Entstehen begriffen.


Fortgang der schweren Abwehrkämpfe

dnb. Aus dem Führer-Hauptquartier, 3. Februar –
Das Oberkommando der Wehrmacht gibt bekannt:

Zwischen Kaukasus und unterem Don erreichten unsere Armeen in planmäßiger Fortführung ihrer Bewegungen die befohlenen Tagesziele. Starke Angriffe bei Noworossijsk und Störangriffe weiter östlich wurden abgewiesen.

Die schweren und wechselvollen Abwehrkämpfe im Raum zwischen dem Don und dem oberen Donez nehmen ihren Fortgang.

Auch gestern unterstützten starke Verbände der Luftwaffe die Kämpfe des Heeres durch kraftvolle Angriffe.

Am Ladogasee brachen schwächere Angriffe gegen die deutschen Linien zusammen. Ein Gegenangriff gegen eine vom Feind genommene Höhe ist noch im Gange.

In Nordafrika an der westtripolitanischen Front nur Spähtrupptätigkeit. Starke feindliche Angriffe in Tunesien wurden durch deutsch-italienische Truppen unter schwersten Verlusten für den Feind zerschlagen und dabei 18 Panzer vernichtet.

Britische Flugzeuge griffen in der vergangenen Nacht westdeutsches Gebiet an. In den Wohnvierteln einiger Orte entstanden vorwiegend Brandschäden. Die Bevölkerung hatte Verluste. Drei Flugzeuge wurden abgeschossen.


Bis einschließlich Samstag –
Schließung aller Theater und Kinos

dnb. Berlin, 3. Februar –
Der Reichsminister für Volksaufklärung und Propaganda hat nach der Bekanntgabe der Verlautbarung des Oberkommandos der Wehrmacht über das Ende des Heldenkampfes der 6. Armee an der Wolga die Schließung aller Theater, Filmtheater, Varietés und ähnlicher Unterhaltungsstätten ab sofort bis einschließlich Samstag, den 6. Februar, angeordnet. Ebenso wird jede öffentliche Veranstaltung künstlerischer oder unterhaltender Art für diese Zeit untersagt.

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Die Helden der 6. Armee

Von Alfred Rosenberg

Wer die großen Heldensagen der Völker sich heute vor Augen führt, der wird besonders tief empfinden, daß sie entstanden sind nicht aus der Heiterkeit eines allbefriedeten Lebens, sondern daß sie Gleichnisse sind schwerster Kämpfe eines ungeheuren großen Schicksals. Die Ilias ist ein Sang der Sieger, aber zugleich vereinigen sich in ihr Erinnerungen jahrhundertelanger Kämpfe der Hellenen gegen die damaligen Völker Kleinasiens. Aus nationaler Prüfung ist der Seele eines ganz Großen ein Werk entstiegen, das, ins dritte Jahrtausend gehend, noch alle bewegt, die für menschliche Größe Sinn und für wahrhafte Kunst als Gestalterin des kämpferischen Lebens ein Herz haben.

Das Epos des deutschen Volkes ist nicht zufällig die Erzählung von der Nibelungen Not. Das sich gestaltende deutsche Volk hat hier seine Stimme gefunden, und die Helden der Völkerwanderungszeit schreiten durch unsere Seelen, das heißt durch unser Leben so stark und so ewig jung, weil das Bleibende des Deutschtums in ihnen für immer verkörpert erscheint.

Das, was schwer erkämpft wird auf dieser Welt, das ist erst wahrhaft gehärtet und erprobt. Was durch alle Tiefen mutig vorwärtsgeschritten ist, kann erst die hohen Gipfel überschreiten.

Wie die Könige, Ritter und Reisige der Burgunder in der fremden Königshalle sich bis zum Letzten gegen die Hunnen wehrten, so stand die 6. Armee in Stalingrad vor den anstürmenden Millionenhaufen des Bolschewismus. Sie kämpften, fielen oder wurden, wund und ermattet, überwältigt in einer Stadt, die ebenfalls den Namen unseres Feindes trägt, wie damals zur Zeit des Nibelungenzuges.

Aus den Kämpfen, Niederlagen und Siegen der Germanen aber ist das Reich der Deutschen entstiegen. Nicht infolge eines Vertrages, nicht infolge einer sogenannten „Entwicklung,“ sondern in einer machtvollen Auseinandersetzung mit den vorherigen Kräften der Geschichte. So manche schwere Stunde haben die deutschen Kaiser, Feldherren und Staatsmänner durchzustehen gehabt, ehe sie einen Teil dessen verwirklichen konnten, was ihnen vorschwebte. So mancher stieg ins Grab ohne jede Erfüllung und konnte nur die Fahne weiterreichen. In dem größten Kampf des deutschen Volkes um sein Erbe stehen wir alle in diesem Kriege. Viele Symbole größten Soldatentums, tapferer, stiller Hingabe kennen wir – von Tausenden können wir noch nichts wissen. Als größtes Symbol aber wird für alle Zeiten der Kampf eingehen, der dort weit, weit im Osten an der Wolga geführt worden ist. Das ist ein Heldentum der Gesamtheit, einer ganzen Armee, das wir schon heute nur in Ehrfurcht nennen, das ferne Jahrhunderte schildern werden, wie nur je von einem gleichnishaften Kampf einer großen Nation gesprochen worden ist.

Aber wir Menschen eines anderen Zeitalters haben schon jetzt die Möglichkeit, ein großes Schicksal gemeinsam zu empfinden. Wenn früher die Sänger von großen Kämpfen erst monate-, ja jahrelang später berichten konnten, so geht die Nachricht über ein Ereignis heute in Sekunden über den Erdball. In einem solchen gleichzeitigen gemeinsamen Erleben stehen alle Deutschen auf der Welt, gleich ob sie im Reiche leben, ob sie in der Fremde wirken oder ob sie gefangen oder sonst ihrer Freiheit beraubt von dem Opfer deutscher Soldaten auch für sie hören. Und dieses Vereinigen der Gefühle aller ist und wird eine ungeheure Kraft im Deutschen entfalten. Ein Beispiel wurde wieder gegeben, ein Maßstab aufgestellt, an dem auch die ganze Größe der Aufgabe sichtbar, die gesamte Verpflichtung deutlich wird. Diese Stunden gemeinsamer Verinnerlichung sind eben für Deutschland nicht Stunden der Schwäche, sondern Stunden der sich sammelnden Kraft. Aus der Tat der 6. Armee wird der nicht zu brechende Wille emporsteigen, diese Bedrohung des Leibes und der Freiheit des deutschen Wesens restlos zu überwinden und nunmehr, 1600 Jahre nach dem Hunneneinbruch, das Reich und Europa für immer zu schirmen und zu behüten.

Mit uns, so glauben wir, empfinden alle Verbündeten das gleiche wie wir. Auch sie kämpfen für ihr Wesen und ihr seelisches Erbe. Dort in den Ebenen eines aufgewühlten wilden Ostens werden sowohl Goethe und Beethoven wie Augustus und Perikles verteidigt. Was dort geschieht, ist Sache aller Europäer, selbst jener noch, die, „neutral,“ von einem Schicksalskampf nichts wissen wollen, der die Voraussetzung auch ihres ganzen Daseins ist. Vielleicht ergreift den einen oder anderen „Neutralen“ in Europa angesichts Stalingrads doch so etwas wie Scham, aus dem wohlbehüteten Hause noch Kritik an deutschem Heldentum geübt zu haben.

Und auch die Völker des Ostens haben alle Ursache, an diesen Tagen sich innerlich zu überprüfen, über ihre Länder ist der Krieg hinweggegangen. Tausende von Dörfern, Hunderte von Städten, unzählige Fabriken sind in Schutt und Asche gelegt. Die Forderungen der Versorgung und des Arbeitseinsatzes haben auch von ihnen vieles gefordert, ihnen manche Nöte auferlegt. Manche haben darüber gejammert. Aber sie alle müssen sich jetzt fragen, was denn mit ihnen allen vom Finnischen Meerbusen bis zum Schwarzen Meer geschehen wäre, wenn die bolschewistischen Haufen nochmals über sie kommen würden! Dort, wo eine Anzahl Dörfer von deutschen Truppen geräumt wurden, haben die Bolschewisten alle, deren sie noch habhaft werden konnten, ermordet. Vor diesem Schicksal bewahrt das deutsche Volk in Waffen auch sie. Ihre Pflicht ist es nunmehr, auch für ihre Rettung alle Kräfte einzusetzen, das Gesetz des großen Krieges steht über allen, den Schild Europas hält die deutsche Wehrmacht vor allen emporgerichtet. Eine Armee opferte sich für alle. Diese anderen alle aber schöpfen daraus neue Verpflichtung und stählen ihren Willen zum unbezwinglichen Widerstand.

Es kann nicht der Sinn europäischer Geschichte sein, im Schmutz bolschewistischer Verpestung zu enden. Es kann nicht Sinn deutscher Geschichte sein, letztes Opfer alljüdischen Hasses zu werden. Es kann nicht Sinn einer wirklichen Weltordnung sein, daß die Handlanger und verräterischen Genossen dieser zerstörenden Mächte Herren werden über das Erbe aller großen Kämpfe unseres Kontinents.

Nein! Der Sinn dieses Krieges ist die Durchsetzung einer wahren biologischen Humanität, das heißt die äußere und innere Säuberung aller Völker von den Schlacken einer oft jahrhundertealten Entwicklung, die ohne notwendige Fernsicht geduldet worden war. In dem Sinn einer solchen Säuberung haben wir die Bewegung Adolf Hitlers begriffen, hat das ganze deutsche Volk sich in den Dienst dieser geschichtlichen Säuberung gestellt. Für diesen Sinn, für das wahre Wesen eines erhöhten Menschentums kämpft das Deutsche Reich. Für Deutschlands Größe und für Europas Erbe kämpften, bluteten und starben die Soldaten der deutschen 6. Armee.

Ihrer gedenken wir, auf sie sind wir stolz. Sie weisen aus dem Kampf der Gegenwart in den Sieg der Zukunft, sie werden uns und unsere Nachfahren begleiten als ewige Spender unserer neuen Kraft.

Erlebnisbericht über den Kampf der Helden von Stalingrad –
Schulter an Schulter bis zur letzten Patrone

vb. Wien, 3. Februar –
Ein Heldenkampf ohnegleichen hat auf dem Trümmerfeld von Stalingrad seinen Abschluß gefunden. So stellt die Meldung aus dem Führer-Hauptquartier fest und fügt hinzu:

Noch ist es nicht an der Zeit, den Verlauf der Operationen zu schildern, die zu dieser Entwicklung geführt haben. Das Opfer der Armee war nicht umsonst.

Es hat nicht nur die Möglichkeit zu Gegenmaßnahmen gegeben, von deren Durchführung das Schicksal der gesamten Ostfront abhing, sondern es hat die fortzeugende Kraft, die Nation auf das Vermächtnis der Männer zu verpflichten, die dort, umklammert von erdrückender Übermacht, zuletzt abgeschnitten von jeder Versorgung, bis zum letzten gekämpft, geblutet und ihr Leben gegeben haben, „damit Deutschland lebe.“ Was Augenzeugen über dieses gewaltige Ringen berichten, prägt uns das Bild des beispiellos harten Kampfes unauslöschlich ein. Es zeigt die ganze Seelenstärke und sittliche Kraft eines Soldatentums, das in seiner unvergleichlichen Größe den Sieg verbürgt und jeden Deutschen aufruft, sich dieses Beispiels an seinem Platz würdig zu erweisen.

Die 6. Armee stand in ihrem Kampf als Vorposten des Reiches und Europas gegen die bolschewistische Flut. Bereits am 5. Jänner versuchte der Feind, Unterhändler zu entsenden, um die Festung zur Übergabe aufzufordern. Dieser Versuch wurde am 9. und 10. Jänner wiederholt. Der Oberbefehlshaber lehnte dieses Ansinnen rundweg ab. Er sah die Gefahren, die der gesamten Ostfront gedroht hätten, wenn die 6. Armee nicht dort, wo sie stand, gehalten hätte. Wiederholt hat er die in der Festung kämpfenden Verbände als eine verschworene Schicksalsgemeinschaft bezeichnet.

Das Gelände um Stalingrad ist eine baumlose Steppe, unterbrochen durch tiefe Einschnitte. Es gibt hier keine natürlichen Anklammerungspunkte, die für die Verteidigung ausgenutzt werden könnten. Immer wieder fegten eisige Schneestürme über die deutschen Stellungen hinweg, und gerade in den Tagen, als die Westfront der Festung gegenüber dem Druck der feindlichen Übermacht zurückverlegt werden mußte, herrschte eine Kälte bis zu 35 Grad. Der Nachschub beschränkte sich unter den gegebenen Verhältnissen auf ein Mindestmaß und sank beim weiteren Verlauf der Kämpfe trotz des aufopferungsvollen Einsatzes der Luftwaffe immer mehr ab, so daß es der Truppe von Tag zu Tag mehr an Verpflegung und Munition mangelte.

Unter diesen Umständen die Festung über zwei Monate hindurch zu halten, war nur möglich, weil hier beste deutsche Soldaten und beste Führer Schulter an Schulter mit ihren rumänischen und kroatischen Kampfgenossen dem Feind entgegentraten. Die individuelle Überlegenheit dieser Kämpfer gegenüber dem bolschewistischen Angreifer erwies sich auch in diesem unablässigen schweren Ringen erneut.

Über 800 Panzer abgeschossen

Aber was dem Feind an Kampfwert fehlte, das ersetzte er durch eine ständig wachsende Zahlenüberlegenheit an Menschen und Material. Jeden kleinen Fortschritt mußten die Sowjets mit ungeheuren Verlusten bezahlen. Nach Abwehr eines Angriffes gegen die Nordostfront wurden allein vor der Hauptkampflinie einer Panzerdivision 800 Tote gezählt. Im Verlauf des Kampfes um die Festung wurden bis zum 20. Jänner über 800 feindliche Panzer abgeschossen.

Bei einem Feind, der das Wort Soldatenehre aus seinem Wortschatz gestrichen hat, kann es nicht wundernehmen, daß er heute den erbärmlichen Versuch macht, das unvergleichliche Heldentum der Verteidiger von Stalingrad durch die infamsten Unterstellungen in Zweifel zu ziehen. Ganz im Sinne des bolschewistischen Klassenkampfes wurde die niederträchtige Behauptung in Umlauf gesetzt, die Truppe sei von ihren Führern verlassen worden, als ob jemals deutsche Offiziere von der Seite der Männer wichen, die ihrer Führung unterstellt sind.

Die OKW.-Berichte haben während des Ringens um Stalingrad wiederholt darauf hingewiesen, daß Generale und Offiziere, Unteroffiziere und Mannschaften an Opfergeist wetteiferten und bis zum letzten auf dem Platz blieben, auf den sie gestellt waren. Mit der blanken Waffe haben die Führer Schulter an Schulter mit ihren Grenadieren gekämpft und sind wie diese in den Tod gegangen. Ihr Beispiel hat ihre Männer immer wieder emporgerissen, die übermenschliches zu leisten hatten.

Bei eisiger Kälte, ohne jeden Unterstand, mußten sie im Freien liegen und den überlegen angreifenden Feind abwehren. Sie konnten sich in dem hartgefrorenen Boden keine Deckung schaffen. Alle Waffengattungen beteiligten sich an diesem Kampf, Angehörige der Versorgungstruppen, der Artillerie, der Luftwaffe reihten sich als Infanteristen in die Front ein, vorbildlich unterstützt durch die Einheiten einer Flakdivision, die im Einsatz gegen die feindliche Luftwaffe wie auch im Erdkampf Hervorragendes leistete. Durch die Ungunst des Wetters, Fehlabwürfe von Versorgungsbehältern in dem unübersichtlichen Kampfgelände, Bruchlandungen und Zerstörung abgeworfenen Nachschubs wurde die Versorgung aus der Luft immer schwieriger. Außer an Verpflegung und Munition fehlte es schließlich auch an Betriebsstoff für die Kraftfahrzeuge und Panzer.

Seit dem 12. Jänner wußte wohl jeder, daß eine Entsetzung Stalingrads unmöglich war und das Schicksal der Armee nicht zweifelhaft sein konnte. Die Haltung von Offizier und Mann aber blieb auch in dieser Lage von einer ergreifenden Größe. In keinem Augenblick hat sich die Manneszucht gelockert. Die Abschiedsbriefe dieser Kämpfer auf einem unhaltbar gewordenen Posten zeigen eine Seelenstärke, vor der sich die ganze Nation in Ehrfurcht beugt.

Eines von unzähligen Beispielen: Ein Oberleutnant schreibt an seinen Vater:

Du weißt, wie es hier steht. Du weißt auch die Lösung. Du kannst Dich darauf verlassen, daß es anständig zugehen wird.

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Some rant that the Commies imply that the fuhrer abandoned the troops, well to my knowledge he never cared to visit anywhere near Stalingrad

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Actual ending:
" Each side lost many brave warriors, but the Nibelungs were greatly outnumbered, and in the end every one of them was killed. Gunther and Hagen were the last to die. Both were captured by the Hungarians. Kriemhild ordered that Gunther’s head be cut off and then delivered to Hagen.
](The Nibelungenlied: A Summary in English Prose)"

They really have a suicide fetish already. I hope they come to their sense and don’t fight on all the way into Berlin?.

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President Roosevelt’s congratulations to Marshal Stalin on the Russian victory at Stalingrad
February 4, 1943

Franklin Delano Roosevelt (D-NY)

As Commander-in-Chief of the Armed Forces of the United States of America, I congratulate you on the brilliant victory at Stalingrad of the armies under your supreme command. The 162 days of epic battle for the city which has forever honored your name and the decisive result which all Americans are celebrating today will remain one of the proudest chapters in this war of the peoples united against Nazism and its emulators.

The commanders and fighters of your armies at the front and the men and women who have supported them in factory and field have combined not only to cover with glory their country’s arms, but to inspire by their example fresh determination among all the United Nations to bend every energy to bring about the final defeat and unconditional surrender of the common enemy.


The Free Lance-Star (February 4, 1943)

German captives tell of troubles

Moscow, USSR (AP) –
Pravda reported today that the tattered German Army of Stalingrad was finally crossing the Volga – plodding east across the ice in seemingly endless captive columns, headed for prisoner camps far behind the battlelines.

The Communist Party newspaper said Romanian generals and some of the German commanders captured in the collapse of the Axis pocket at Stalingrad showed resentment toward Field Marshal Friedrich Paulus.

They said he concealed from the Russian ultimatum last month to surrender or be wiped out, Pravda reported.

It said that when Gen. Brătescu, commander of the Romanian 1st Cavalry Division, surrendered afoot he was asked:

Where are all your horses, general?

The Romanian was said to have replied:

They have been eaten by Field Marshal Paulus’ soldiers.

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Brooklyn Eagle (February 4, 1943)

Editorial: Defeat at Stalingrad sounds Nazi death-knell in Russia

Stalingrad is completely Russian again. The German radio plays funeral marches – and the cold still bites on the Russian front and the Russian troops still press against the receding lines of the Herrenvolk. Stalingrad as surely marks German defeat in the Russian campaign as the failure of the London Blitz in 1940 marked the defeat of Hitler in the Battle of Britain.

Two or three hundred thousand Axis men died or were taken prisoner at Stalingrad. Hundreds of thousands of others have died in the mountains of the Caucasus, on the endless plains of the Central Front and in the swamps of the North. London is reported by the New York Times to estimate that 4,000,000 Nazi soldiers have died, been captured, or permanently disabled since the battalions rolled across the Polish borders so confidently in 1939. They cannot be replaced.

Germany is on the defensive. The funeral marches on the radio, which preceded the announcement that the last German islet of resistance had been inundated at Stalingrad, are part of the technique of steeling the discouraged German people to die as their young men died at Stalingrad. The somber music sounded more than the knell of Stalingrad, of the Russian campaign. It sounded, however it was intended, the knell of German hopes.

The radio played the funeral march Götterdämmerung, the “Twilight of the Gods.” It was well chosen. We are seeing now the onset of twilight for the Nazi gods of bestiality, cruelty and terror.

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Völkischer Beobachter (February 5, 1943)

Letzter Funkspruch uns Stalingrad: Es lebe der Führer!
‚Im schwersten Kampf taten wir bis zum letzten unsere Pflicht‘

Unter dem wehenden Hakenkreuz tapfer gehalten

dnb. Berlin, 4. Februar –
Der heroische Kampf in Stalingrad, der nun zum Abschluß gekommen ist, wurde in der zweiten Jännerhälfte immer schwerer und erbitterter. Nur kurze Funkmeldungen verbanden noch die Verteidiger mit der Außenwelt. Hart und klar waren ihre Worte. Es war die Sprache von Männern mit ehernen Herzen, deren todesmutiger Wille weder monatelanger härtester Kampf und Entbehrungen, noch die Übermacht des Feindes brechen konnten. Auf engstem Raum zusammengedrängt, funkte die 6. Armee:

Hißten die Hakenkreuzfahne auf höchstem Haus der inneren Stadt. Führen unter diesem Zeichen den letzten Kampf.

Von diesem Augenblick wehte das Banner hoch über den ragenden Trümmern des GPU.-Gebäudes. Umwettert vom Feuer zahlloser Batterien, zerfetzt von den Splittern der einschlagenden Bomben, war es das Symbol der unsterblichen Helden von Stalingrad.

Als die Front südlich der Zaritza unter dem feindlichen Massensturm ins Wanken kam, kämpften die Generale Pfeffer, von Hartmann und Stempel mit Oberst Crome und einer Handvoll beherzter Männer auf der Dammkrone stehend gegen den immer heftiger werdenden Ansturm des Feindes.

Am 27. Jänner stürzen die Bolschewisten erneut mit Massen von Panzern und Truppen heran. Aber noch erreichen sie nichts. Nur die Verbindung zum Traktorenwerk reißt ab. Die Munition wird immer knapper. In der Nacht lösen frische Massen die zerschlagenen feindlichen Verbände ab, und im Morgengrauen beginnt abermals der Ansturm der Bolschewisten. Kaum hat die letzte Kugel ihren Lauf verlassen, sind schon die Männer der Zaritza-Front mit der blanken Waffe zwischen dem Feind.

Tatkräftige Offiziere raffen die Versprengten zusammen, schließen die Front und vernichten im eigenen Vorstoß mehrere Panzer.

Die Bolschewisten drücken nach Norden. Die nördliche Kampfgruppe igelt sich ein, schlägt zurück. Wiederum muß der Feind zu Boden, doch am Morgen des 29. Jänner bricht er erneut gegen die Südgruppe zum Angriff vor.

Schulter an Schulter stehen Generale und Grenadiere, Deutsche, Rumänen und Kroaten, Panzermänner, Pioniere, Artilleristen und Flakkanoniere, Schreiber, Fahrer und Bodenpersonal im erbitterten Nahkampf. Das Generalkommando des 14. Panzerkorps wird in vorderster Linie von der Übermacht zerschlagen. Aber immer noch wird die Front gegen den Ansturm von Westen und Süden mit den letzten Kräften, den letzten Granaten, den letzten Patronen gehalten.

Am folgenden Tage verdoppelt der Feind seine Anstrengungen. Jeder der Verteidiger kämpft bis zum letzten. Schließlich halten nur noch einige Artilleristen ihren Igel im Umkreis von 300 Meter um das GPU.-Gebäude, auf dem das Hakenkreuzbanner immer noch weht, zusammen mit ihrem Oberbefehlshaber und seinem Stab.

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Die Führer-Proklamation im Bunker

Die Gruppe funkt:

Hörten im Bunker die Führer-Proklamation. Erhoben vielleicht zum letzten Male bei den Nationalhymnen die Hand zum Deutschen Gruß.

Draußen aber tobt der Kampf weiter.

Dem letzten Befehl des Generalfeldmarschalls: „Alles zerstören“ folgen rasche Explosionen, in denen das Hochhaus und mit ihm die Fahne zusammensinken.

Der Feind greift jetzt im Norden an, dringt vor und wird zurückgeschlagen. Die Verluste sind schwer und die Munition der schweren Waffen ist verschossen. Aber die Männer halten aus. Ihr unbeugsamer Wille hält sie noch am 1. Februar aufrecht. Ihr letzter Funkspruch am 2. Februar enthüllt noch einmal die ganze Größe ihres unvergänglichen Soldatentums:

Im schwersten Kampf haben wir bis zum letzten Mann unsere Pflicht getan. Es lebe der Führer, es lebe Deutschland.

Das ist die letzte Meldung des Generals der Infanterie Strecker und seiner Männer.