America at war! (1941–) – Part 5

L’Unità (April 30, 1945)

L’esecuzione di Mussolini

Abbiamo avuto la ventura di parlare con l’esecutore della condanna a morte di Mussolini. Egli ci ha narrato seccamente, con poche parole, la fine ingloriosa di un uomo che ha lasciato alla storia ancora le sue parole vili, la sua paura e il suo povero attaccamento alla vita, a costo di qualsiasi vergogna.

Il Comando della 52a Brigata «Luigi Clerici», conscio dell’importanze dei prigionieri catturati, aveva diviso questi ultimi in tre gruppi. Mussolini era stato sistemato con la Petacci in località Giulino di Mezzegre (Tremezzina), provincia di Como, in una casetta di contadini a mezza costa, in una camera senza finestra, guardata da due partigiani.

Entrai con il mitra spianato. Mussolini era in piedi vicino al letto: indossava un soprabito nocciola, il berretto della GNR senza fregio, gli stivaloni rotti di dietro. Lo sguardo era sperduto, gli occhi fuori dell’orbita, il labbro inferiore tremolante: un uomo terrificati. Le prime paro le che pronunciò furono:

– Che casa c’è?

Avevo progettato di eseguire la sentenza in un luogo poco distante dalla casa. Per portarlo fin là dovetti ricorrere a uno stratagemma. Risposi: – Sono venuto a «liberarti».

– Davvero?

– Presto, presto, bisogna fare presto! … C’è poco tempo da perdere…

– Dove sì va?

– Sei armato? – con il tono di offrirgli un’arma.

Rispose: – No, io non ho armi – con il tono di avere compreso la domanda.

Mussolini fece l’atto di uscire. Io lo fermai:

– Prima lei. – La Petacci non riusciva a rendersi conto di che cosa avvenisse, si affrettò affannosamente a cercare i suoi oggetti personali.

– Fa presto, sbrigati…

A questo punto Mussolini fece l’atto di uscire perché non stava più nella pelle. E in realtà uscì prima della Petacci. Uscito all’aperto, Mussolini si trasfigurò, e, voltandosi verso di me, mi disse:

– To offrirò un imperio. – Eravamo ancora sulla soglia della camera. Invece di rispondere a lui dissi alla Petacci.

– Avanti, avanti – e la tirai fuori per un bracciò. La Petacci si affiancò a Mussolini seguiti da me e fecero la mulattiera che scende dalla mezza costa sino al punto in cui era ferma la macchina. Durante il tragitto Mussolini si voltò una volta sola con lo sguardo riconoscente. A questo punto gli sussurrai:

– Ho «liberato» anche tuo figlio Vittorio – (volevo comprendere dalla risposta che avrebbe dato dove poteva trovarsi Vittorio).

– Grazie di cuore, E Zerbino e Mezzasoma dove sono? – domandò.

Risposi: – Stiamo «liberando» anche loro. – Ah! … – e non si voltò più!

Giunti alla è macchina, Mussolini sembrava convinto di essere un uomo libero. Fece il gesto di dare la precedenza alla Petacci, ma io gli dissi:

– Vai tu là. Sei più coperto. Ma con quel berretto di fascista è un po’ una grana…

Mussolini se lo tolse e, battendosi la mano sulla «pelata», disse: – E questa qui? …

– Calcati malto la visiera sugli occhi, allora…

Sì partì. Giunti al posto precedentemente da me scelto (curva della strada la destra e rientro del muricciolo a sinistra, una specie di piazzetta) feci fermare la macchina, facendo segno a Mussolini con la mano di non parlare. E sottovoce, accostandomi allo sportello, gli sussurrai:

– Ho sentito del rumore… Vado a vedere…

Scesi dal, parafango e mi portai fino alla curva. Poi tornai e dissi ancora pianamente:

– Svelti, mettetevi in quell’angolo.

Mussolini, pur obbedendo celermente, non apparve più sicuro, ma tuttavia obbediente, si mise con la schiena al muro al posto indicato, con la Petacci al fianco destro. Silenzio.

Improvviso, pronuncio la sentenza di condanna contro il criminale di guerra:

Per ordine del Comando generale del Corpo volontari della libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano.

Mussolini appare annientato. La Petacci gli butta le braccia sulle spalle e dice:

– Non deve morire.

– Mettiti al tuo posto se non vuoi morire anche tu.

La donna torna con un salto al suo posto. Da una distanza di tre passi, feci partire cinque colpi contro Mussolini, che si accasciò sulle ginocchia con la testa leggermente reclinata sul netto. Poi fu la volta della Petacci.

Giustizia era fatta.

Domani pubblicheremo: «Come sono stati giustiziati i complici di Mussolini».