La Stampa (September 9, 1943)
LA GUERRA E’ FINITA
Badoglio annuncia alla Nazione che la richiesta di un armistizio è stata accolta dal gen. Eisenhower
Le forze italiane cessano ovunque da ogni ostilità contro gli anglo-sassoni ma sapranno reagire contro eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza
Resa all’ineluttabile
Soffochiamo il flotto di amarezza che ci sale dal cuore. Scriviamo. Ancora ci risuona nell’orecchio la voce del grande soldate, che poco fa annunciava al popolo il compiersi di un destino ormai ineluttabile. Era la voce di un uomo che ha servito la Patria con le armi in eventi fortunosi e memorabili. Con Diaz, che lo aveva chiamato al suo fianco dopo Caporetto, aveva preparato all’Italia la grande ora solare, l’ebrezza infervorante di Vittorio Veneto. Succeduto a un condottiero improvvisato nella direzione dell’impresa etiopica, aveva prontamente riparati gli errori del suo predecessore, e portate le armi italiane vittoriose ad Addis Abeba. Immaginiamo il sentimento del Maresciallo, nell’atto in cuoi adempiva al duro compito riservatogli dal destino, il più duro che il destino potesse riservare ad un italiano e ad un soldato: quello di annunciare le fine di una guerra, in cui la sorte è stata avversa all’Italia. Energica e ferma, la voce di Badoglio ci è apparsa in qualche instante velarsi di tristezza. Non si può chiedere a nessuno, neppure ad un animo fortissimo, l’impassibilità di fronte alle sventure della Patria.
Ma la realtà va guardata in faccia, anche se è una faccia ingrata. E’ inutile illudersi. Le guerre si combattono fino a che c’è speranza di vittoria, o almeno di una pace meno dura. Quando anche questa speranza è perduta, insistere sarebbe follia. Se avesse insistito, Badoglio si sarebbe reso responsabile di un delitto. Altre mamme, altre spose italiane avrebbero pianto la morte dei loro figli e dei loro mariti. Altre citta avrebbero conosciuto la furia devastatrice dei bombardamenti nemici. Per quale scopo, con quale utilità? E’ assurdo supporre che il nemico, la cui strapotenza di mezzi appariva di minuto in minuto più schiacciante, ci avrebbe fatto tra quindici giorni condizioni migliori di quelle che ci farà oggi. Nessun uomo di coscienza e di umanità si sarebbe mai preso la responsabilità di chiedere al popolo nuovi sacrifici solo per aggravarne la situazione.
La decisione dell’Italia è deli resto ineccepibile sotto ogni punto di vista. Il pipilo italiano non abbandona le armi, è rimasto senz’armi. Si ritira da una lotta che non è più in condizione di combattere. Nessuno poteva pretendere che esso si offrisse inerme alla offesa nemica, passivo bersaglio si suoi potenti mezzi distruttivi. Una tale ostinazione, un tale gratuito suicidio non sarebbero stati di utilità per alcuno. Fino a che ha avuto la possibilità di resistere, l’Italia l’ha fatto, e l’ha fatto con onore. Non si può negare la superba dimostrazione di valore che il nostro soldato ha offerta sui campi di battaglia, in condizione di perpetua inferiorità di mezzi. Questo ci consente di proclamare che l’Italia esce dalla guerra con onore. Tutto può essere perduto: ma l’onore è salvo.
Non sappiamo che cosa ci riserverà l’immediato avvenire. Ogni illusione sarebbe fuori luogo. La guerra è stata dura, la pace sarà forse durissima. Ma dobbiamo fortificare in noi la decisione di affrontare, in concordia di spiriti, le difficoltà della ricostruzione. Abbiamo commesso dei grandi errori, ma abbiamo in noi la possibilità e la capacita di superarli. In questo tristissimo momento il nostro pensiero va ai gloriosi Caduti e ai combattenti tutti, che hanno tenuto alto, sui campi di battaglia, il prestigio delle armi italiane. Va alle popolazioni delle citta straziate dai bombardamenti nemici. Va alle genti intrepide della Sicilia e della Calabria che hanno conosciuto l’amarezza dell’invasione straniera. Va al nostro Sovrano, che, come già il 25 luglio, dimostra oggi di non essere sordo alle voci delle aspirazioni popolari, e accetta ancora una volta le responsabilità delle supreme decisioni. La guerra è costata molto all’Italia la sangue, lutti, rovine. Ma la storia ammaestra che anche le avventure possono essere lievito di nuova vita e di feconda ripresa. Il popolo italiano non può morire. Il popolo italiano non morrà.