U.S.-Russian unity upheld
Lawrence is certain that two strongest powers will remain friends
By David Lawrence
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Lawrence is certain that two strongest powers will remain friends
By David Lawrence
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Lt. Quentin Meyer, Marine shore gunner, is victim of Jap grenade
By Sgt. William Boniface, USMC combat correspondent
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Mueller of Tigers allows two blows – Browns whip Nats – Athletics triumph
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Raises delegates’ hopes of early success in Frisco conference
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Edda Mussolini wrecked on love for dead father, husband he condemned to death
By Curt Riess
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Eliot points out all won’t be satisfied with compromise made
By Maj. George F. Eliot
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The Pittsburgh Press (June 1, 1945)
By Gracie Allen
I guess that pretty soon they’ll be reporting the Washington news on the story pages. There’s been another fistfight in Congress, the second in a few weeks.
Three Democrats and one Republican are now entitled to wear combat zone ribbons. One of the men got his mouth hurt. I support that’s about the worst thing that could happen to a Congressman.
This fight was about the members of the House voting themselves a $2,500-a-year tax-free allowance for expenses. The way things are going they’ll need that money. Trainers and boxing instructors get high salaries.
A while back when Congress tried to pension itself, some people started a “Bundles for Congressmen” movement. My goodness, I think we need another one right now – “bandages for Congressmen,” or “liniment for legislators.”
Delivered to the College of Cardinals
Nell’accogliere, Venerabili Fratelli, con viva gratitudine gli auguri che a nome di voi tutti il venerando e amatissimo Decano del S. Collegio Ci ha offerti, il Nostro pensiero Ci riporta a ben sei anni addietro, allorché, in questa medesima ricorrenza, Ci presentavate i vostri voti onomastici, la prima volta dopo la elevazione della Nostra indegna persona alla Cattedra di Pietro.
Il mondo allora era ancora in pace: ma quale pace! e quanto precaria!
Col cuore pieno di angoscia, nella perplessità e nella preghiera, Noi Ci chinavamo su questa pace, come chi si china al capezzale d’un agonizzante e con ardente amore si ostina a contenderlo, pur contro ogni speranza, alle strette della morte.
Nelle parole, che allora vi rivolgemmo, traspariva la Nostra dolorosa apprensione per lo scatenarsi di un conflitto, che sembrava farsi sempre più minaccioso, e di cui nessuno avrebbe potuto prevedere né l’estensione né la durata.
Il successivo svolgersi degli avvenimenti non soltanto dimostrò fin troppo vere le Nostre previsioni più tristi, ma le ha anzi di gran lunga superate.
Oggi, dopo circa sei anni, le lotte fratricide sono cessate, in una parte almeno di questo mondo devastato dalla guerra. È una pace – se pure tale può chiamarsi – ben fragile ancora, e che non potrà persistere e consolidarsi se non a prezzo di assidue cure; una pace, la cui tutela impone a tutta la Chiesa, al Pastore e al gregge, gravi e delicatissimi doveri: paziente prudenza, coraggiosa fedeltà, spirito di sacrificio! Tutti son chiamati a consacrarvisi, ciascuno nel suo ufficio e al proprio posto. Nessuno potrà mai apportarvi troppa premura né troppo zelo.
Quanto a Noi e al Nostro Apostolico Ministero, ben sappiamo, Venerabili Fratelli, di poter fare sicuro assegnamento sulla vostra sapiente collaborazione, sulle vostre incessanti preghiere, sulla vostra inalterabile devozione.
I. LA CHIESA E IL NAZIONALSOCIALISMO
In Europa, la guerra è finita; ma quali stigmate vi ha impresse! Il divino Maestro aveva detto: «Tutti quelli, che ingiustamente metteranno mano alla spada, di spada periranno». Ora, che cosa voi vedete?
Voi vedete ciò che lascia dietro di sé una concezione e un’attività dello Stato, che non tiene in nessun conto i sentimenti più sacri dell’umanità, che calpesta gli inviolabili principi della fede cristiana. Il mondo intero, stupito, contempla oggi la rovina che ne è derivata.
Questa rovina, Noi l’avevamo veduta venir di lontano, e ben pochi, crediamo, hanno seguito con maggior tensione dell’animo l’evolversi e il precipitarsi della inevitabile caduta. Oltre dodici anni, tra i migliori della Nostra età matura, avevamo vissuto, per dovere dell’ufficio commessoCi, in mezzo al popolo germanico. In quel tempo, con la libertà che le condizioni politiche e sociali di allora permettevano, Noi Ci adoperammo per il consolidamento dello stato della Chiesa cattolica in Germania. Noi avemmo così occasione di conoscere le grandi qualità di quel popolo e Ci trovammo in relazioni personali coi suoi migliori rappresentanti. Perciò nutriamo fiducia che esso possa risollevarsi a nuova dignità e a nuova vita, dopo aver respinto da sé lo spettro satanico esibito dal nazionalsocialismo, e dopo che i colpevoli (come abbiamo già avuto occasione di esporre altre volte) avranno espiato i delitti da loro commessi.
Fin a quando non si era ancora perduto ogni barlume di speranza che quel movimento potesse prendere un diverso e men pernicioso indirizzo, sia per la resipiscenza dei suoi membri più moderati, sia per una efficace opposizione della parte non consenziente del popolo tedesco, la Chiesa fece quanto era in suo potere, per contrapporre una potente diga al dilagare di quelle dottrine non meno deleterie che violente.
Nella primavera del 1933, il Governo germanico sollecitò la Santa Sede a concludere un Concordato col Reich: pensiero che incontrò il consenso anche dell’Episcopato e almeno della più gran parte dei cattolici tedeschi. Infatti, né i Concordati già conclusi con alcuni Stati particolari della Germania, né la Costituzione di Weimar sembravano loro assicurare e garantire sufficientemente il rispetto delle loro convinzioni, della loro fede, dei loro diritti e della loro libertà d’azione. In tali condizioni, queste garanzie non potevano essere ottenute che mediante un accordo, nella forma solenne di un Concordato, col Governo centrale del Reich. Si aggiunga che, avendone questo fatta la proposta, sarebbe ricaduta, in caso di rifiuto, sulla Santa Sede la responsabilità di ogni dolorosa conseguenza.
Non già che la Chiesa, dal canto suo, si lasciasse illudere da eccessive speranze, né che con la conclusione del Concordato intendesse in qualsiasi modo di approvare la dottrina e le tendenze del nazionalsocialismo, come fu allora espressamente dichiarato e spiegato. Tuttavia bisogna riconoscere che il Concordato negli anni seguenti procurò qualche vantaggio, o almeno impedì mali maggiori. Infatti, nonostante tutte le violazioni di cui divenne ben presto l’oggetto, esso lasciava ai cattolici una base giuridica di difesa, un campo sul quale trincerarsi per continuare ad affrontare, fino a quando fosse loro possibile, il flutto sempre crescente della persecuzione religiosa.
Invero la lotta contro la Chiesa si andava sempre più inasprendo: era la distruzione delle organizzazioni cattoliche; era la soppressione progressiva delle così fiorenti scuole cattoliche, pubbliche e private; era la separazione forzata della gioventù dalla famiglia e dalla Chiesa; era l’oppressione esercitata sulla coscienza dei cittadini, particolarmente degli impiegati dello Stato; era la denigrazione sistematica, mediante una propaganda scaltramente e rigorosamente organizzata, della Chiesa, del Clero, dei fedeli, delle sue istituzioni, della sua dottrina, della sua storia; era la chiusura, lo scioglimento, la confisca di case religiose e di altri istituti ecclesiastici; era l’annientamento della stampa e della produzione libraria cattolica.
Per resistere a questi attacchi, milioni di valorosi cattolici, uomini e donne, si stringevano intorno ai loro Vescovi, la cui voce coraggiosa e severa non mancò mai di risuonare fino a questi ultimi anni di guerra; intorno ai loro sacerdoti, per aiutarli ad adattare incessantemente il loro apostolato alle mutate necessità e circostanze; e fino all’ultimo, con pazienza e fermezza, essi opposero al fronte dell’empietà e dell’orgoglio il fronte della fede, della preghiera, della condotta e della educazione francamente cattolica.
Intanto, senza esitazione, la stessa S. Sede moltiplicava presso i governanti in Germania le sue premure e le sue proteste, richiamandoli, con energia e chiarezza, al rispetto e all’osservanza dei doveri derivanti dallo stesso diritto di natura e confermati nel patto concordatario. In quei critici anni, associando all’attenta vigilanza del Pastore la paziente longanimità del Padre, il Nostro grande Predecessore Pio XI compì con intrepida fortezza la sua missione di Pontefice supremo.
Allorché, però, tentate invano tutte le vie della persuasione, egli si vide con ogni evidenza di fronte alle deliberate violazioni di un patto solenne e a una persecuzione religiosa, dissimulata o manifesta, ma sempre duramente condotta, la domenica di Passione del 1937, nella sua Enciclica «Mit brennender Sorge», egli svelò agli sguardi del mondo quel che il nazionalsocialismo era in realtà: l’apostasia orgogliosa da Gesù Cristo, la negazione della sua dottrina e della sua opera redentrice, il culto della forza, l’idolatria della razza e del sangue, l’oppressione della libertà e della dignità umana.
Come uno squillo di tromba che dà l’allarme, il Documento pontificio, vigoroso – troppo vigoroso, pensava già più di uno – fece sussultare gli spiriti e i cuori.
Molti – anche fuori dei confini della Germania, – che fino allora avevano chiuso gli occhi dinanzi alla incompatibilità della concezione nazionalsocialista con la dottrina cristiana, dovettero riconoscere e confessare il loro errore.
Molti, ma non tutti! Altri, nelle file stesse dei fedeli, erano fin troppo accecati dai loro pregiudizi o sedotti dalla speranza di vantaggi politici. L’evidenza dei fatti segnalati dal Nostro Predecessore non riuscì a convincerli, meno ancora ad indurli a modificare la loro condotta. È forse una mera coincidenza che alcune regioni, più duramente poi colpite dal sistema nazionalsocialista, furono precisamente quelle ove l’Enciclica «Mit brennender Sorge» era stata meno o per nulla ascoltata?
Sarebbe stato forse allora possibile, con opportune e tempestive provvidenze politiche, di frenare una volta per sempre lo scatenarsi della violenza brutale e di mettere il popolo tedesco in condizione di svincolarsi dai tentacoli che lo stringevano? Sarebbe stato possibile risparmiare in tal guisa all’Europa ed al mondo l’invasione di questa immensa marea di sangue? Niuno oserebbe di dare un sicuro giudizio. Ad ogni modo, però, niuno potrebbe rimproverare la Chiesa di non avere denunziato e additato a tempo il vero carattere del movimento nazionalsocialista e il pericolo a cui esso esponeva la civiltà cristiana.
«Chi eleva la razza, o il popolo, o lo Stato o una sua determinata forma, i rappresentanti del potere statale o altri elementi fondamentali della società umana … a suprema norma di tutto, anche dei valori religiosi, e li divinizza con culto idolatrico, perverte e falsa l’ordine delle cose create e voluto da Dio».
In questa proposizione dell’Enciclica si assomma la radicale opposizione tra lo Stato nazionalsocialista e la Chiesa cattolica. Giunte le cose a tal punto, la Chiesa non poteva più, senza venir meno alla sua missione, rinunziare a prender posizione dinanzi a tutto il mondo. Con questo atto, però, essa diveniva ancora una volta un «segno di contraddizione» dinanzi al quale gli spiriti contrastanti si venivano a dividere in due opposte schiere.
I cattolici tedeschi furono, si può dire, concordi nel riconoscere che l’Enciclica «Mit brennender Sorge» aveva arrecato luce, direzione, consolazione, conforto a tutti quelli che consideravano seriamente e praticavano coerentemente la religione di Cristo. Non poteva, però, mancare la reazione da parte di coloro che erano stati colpiti; e di fatto proprio il 1937 fu per la Chiesa cattolica in Germania un anno d’indicibili amarezze e di terribili procelle.
I grandi avvenimenti politici, che contrassegnarono i due anni seguenti, e poi la guerra non attenuarono in alcun modo l’ostilità del nazionalsocialismo contro la Chiesa, ostilità che si manifestò fino a questi ultimi mesi, quando i suoi seguaci si lusingavano ancora di potere, non appena riportata la vittoria militare, finirla per sempre con la Chiesa. Testimonianze autorevoli ed ineccepibili Ci tenevano informati di questi disegni, i quali, del resto, si svelavano da se stessi con le reiterate e sempre più avverse azioni contro la Chiesa cattolica in Austria, nell’Alsazia-Lorena e soprattutto in quelle regioni della Polonia, che già durante la guerra erano state incorporate all’antico Reich: tutto fu ivi colpito, annientato, tutto quello, cioè, che dalla violenza esterna poteva essere raggiunto.
Continuando l’opera del Nostro Predecessore, Noi stessi durante la guerra non abbiamo cessato, specialmente nei Nostri Messaggi, di contrapporre alle rovinose e inesorabili applicazioni della dottrina nazionalsocialista, che giungevano fino a valersi dei più raffinati metodi scientifici per torturare o sopprimere persone spesso innocenti, le esigenze e le norme indefettibili della umanità e della fede cristiana. Era questa per Noi la più opportuna e potremmo anzi dire l’unica via efficace per proclamare in cospetto del mondo gl’immutabili princìpi della legge morale e per confermare, in mezzo a tanti errori e a tante violenze, le menti e i cuori dei cattolici tedeschi negli ideali superiori della verità e della giustizia. Né tali sollecitudini rimasero senza effetto. Sappiamo infatti, che i Nostri Messaggi, massime quello Natalizio del 1942, nonostante ogni proibizione ed ostacolo, furono fatti oggetto di studio nelle Conferenze diocesane del Clero in Germania, e poi esposti, e spiegati al popolo cattolico.
Ma se i reggitori della Germania avevano deliberato di distruggere la Chiesa cattolica anche nell’antico Reich, la Provvidenza aveva disposto altrimenti. Le tribolazioni della Chiesa da parte del nazionalsocialismo hanno avuto termine con la repentina e tragica fine del persecutore!
Dalle prigioni, dai campi di concentramento, dagli ergastoli affluiscono ora, accanto ai detenuti politici, anche le falangi di coloro, sia del Clero che del laicato, il cui unico delitto era stato la fedeltà a Cristo e alla fede dei Padri o la coraggiosa osservanza dei doveri sacerdotali. Per tutti loro Noi abbiamo ardentemente pregato e Ci siamo studiati con ogni industria, ogniqualvolta è stato possibile, di far loro pervenire la Nostra parola confortatrice e le benedizioni del Nostro cuore paterno.
Quanto più infatti si alzano i veli, che nascondevano finora la dolorosa passione della Chiesa sotto il regime nazionalsocialista, tanto più si palesa la fermezza, incrollabile spesso fino alla morte, d’innumerevoli cattolici e la parte gloriosa che in tale nobile agone ha avuto il Clero. Pur non essendo ancora in possesso di completi dati statistici, non possiamo tuttavia astenerCi dal menzionare qui, come esempio, qualcuna almeno delle copiose notizie pervenuteCi da sacerdoti e da laici che, internati nel campo di Dachau, furono fatti degni di patir contumelia per il nome di Gesù.
In prima linea, per il numero e per la durezza del trattamento sofferto, si trovavano i sacerdoti polacchi. Dal 1940 al 1945 furono imprigionati nel campo medesimo 2800 ecclesiastici e religiosi di quella Nazione, fra i quali il Vescovo ausiliare di Wladislavia, che vi morì di tifo. Nell’aprile scorso ve ne erano rimasti soltanto 816, essendo tutti gli altri morti, ad eccezione di due o tre trasferiti in altro campo. Nell’estate del 1942 furono segnalati come colà raccolti 480 ministri del culto, di lingua tedesca, di cui 45 protestanti e tutti gli altri sacerdoti cattolici. Nonostante il continuo affluire di nuovi internati, specialmente da alcune diocesi della Baviera, della Renania e della Westfalia il loro numero, a causa della forte mortalità, al principio di quest’anno, non superava i 350. Né sono da passare sotto silenzio quelli appartenenti ai territori occupati: Olanda, Belgio, Francia (tra i quali il Vescovo di Clermont), Lussemburgo, Slovenia, Italia. Indicibili patimenti molti di quei sacerdoti e di quei laici hanno sopportato per motivo della loro fede e della loro vocazione. In un caso l’odio degli empi contro Cristo giunse a tal segno da parodiare, in un sacerdote internato, con fili di ferro spinati la flagellazione e la coronazione di spine del Redentore.
Le vittime generose, che durante dodici anni, dal 1933, in Germania hanno fatto a Cristo e alla sua Chiesa il sacrificio dei propri beni, della propria libertà, della propria vita, innalzano a Dio le loro mani in oblazione espiatoria. Possa il giusto Giudice accettarla in riparazione di tanti delitti commessi contro la umanità, non meno che a danno del presente e dell’avvenire del proprio popolo, specialmente della infelice gioventù, e abbassare finalmente il braccio del suo Angelo sterminatore.
Con una insistenza sempre crescente il nazionalsocialismo ha voluto denunziare la Chiesa come nemica del popolo germanico. L’ingiustizia manifesta dell’accusa avrebbe ferito nel più vivo i sentimenti dei cattolici tedeschi e i Nostri propri, se fosse uscita da altre labbra; ma su quelle di tali accusatori, lungi dall’essere un aggravio, è la testimonianza più fulgida e più onorevole dell’opposizione ferma, costante sostenuta dalla Chiesa contro dottrine e metodi così deleteri, per il bene della vera civiltà e dello stesso popolo tedesco, cui auguriamo che, liberato dall’errore che l’ha precipitato nell’abisso, possa ritrovare la sua salvezza alle pure sorgenti della vera pace e della vera felicità, alle sorgenti della verità, della umiltà, della carità, sgorgate con la Chiesa dal Cuore di Cristo.
II. SGUARDI VERSO L’AVVENIRE
Dura lezione quella degli ultimi anni! Che almeno essa sia compresa e riesca proficua alle altre Nazioni! «Erudimini, qui gubernatis terram!». Questo è il voto più ardente di chiunque ami sinceramente l’umanità. Vittima di un empio logorio, di un cinico disprezzo della vita e dei diritti dell’uomo, essa non ha che un solo desiderio, non aspira che a una cosa sola: condurre una vita tranquilla e pacifica nella dignità e nell’onesto lavoro.
E per questo essa brama che si ponga termine alla sfrontatezza, con cui la famiglia e il focolare domestico negli anni della guerra sono stati malmenati e profanati; sfrontatezza che grida al cielo e si è tramutata in uno dei più gravi pericoli non soltanto per la religione e la morale, ma anche per la ordinata convivenza umana; mancanza che ha soprattutto creato le moltitudini dei dissestati, dei delusi, dei desolati senza speranza, i quali vanno ad ingrossare le masse della rivoluzione e del disordine, assoldate da una tirannide non meno dispotica di quelle che si sono volute abbattere.
Le Nazioni, segnatamente quelle medie e piccole, reclamano che sia loro dato di prendere in mano i propri destini. Esse possono essere condotte a contrarre, con loro pieno gradimento, nell’interesse del progresso comune, vincoli che modifichino i loro diritti sovrani. Ma dopo aver sostenuto la loro parte, la loro larga parte, di sacrifici per distruggere il sistema della violenza brutale, esse sono in diritto di non accettare ché venga loro imposto un nuovo sistema politico o culturale, che la grande maggioranza delle loro popolazioni recisamente respinge.
Esse ritengono, e con ragione, che ufficio principale degli organizzatori della pace è di porre un termine al giuoco criminale della guerra, e di tutelare i diritti vitali e i reciproci doveri tra grandi e piccoli, potenti e deboli.
Nel fondo della loro coscienza i popoli sentono che i loro reggitori si screditerebbero, se al folle delirio di una egemonia della forza non facessero seguire la vittoria del diritto. Il pensiero di una nuova organizzazione della pace è scaturito – nessuno potrebbe dubitarne – dal più retto e leale volere. Tutta l’umanità segue con ansia il progresso di così nobile impresa. Quale amara delusione sarebbe, se essa venisse a fallire, se fossero resi vani tanti anni di sofferenze e di rinunzie, lasciando nuovamente trionfare quello spirito di oppressione, dal quale il mondo sperava di vedersi finalmente liberato per sempre! Povero mondo, al quale si potrebbe allora applicare la parola di Gesù: che la sua nuova condizione è divenuta peggiore di quella da cui era così penosamente uscito!
Le condizioni politiche e sociali Ci mettono sul labbro queste parole ammonitrici. Purtroppo abbiamo dovuto deplorare in più di una regione uccisioni di sacerdoti, deportazioni di civili, eccidi di cittadini senza processo o per vendetta privata; né meno tristi sono le notizie che Ci sono pervenute dalla Slovenia e dalla Croazia.
Ma non vogliamo perderci di animo. I discorsi pronunziati da uomini competenti e responsabili nel corso di queste ultime settimane lasciano comprendere che essi hanno in vista la vittoria del diritto, non solo come scopo politico, ma anche più come dovere morale.
Perciò Noi rivolgiamo di gran cuore ai Nostri figli e alle Nostre figlie dell’intero universo un caldo invito alla preghiera: che esso pervenga all’orecchio di quanti riconoscono in Dio il Padre amantissimo di tutti gli uomini creati a sua immagine e somiglianza, di quanti sanno che nel petto di Cristo pulsa un Cuore divino ricco di misericordia, sorgente profonda ed inesauribile di ogni bene e di ogni amore, di ogni pace e di ogni riconciliazione.
Dalla tregua delle armi alla pace vera e sincera, come or non è molto ammonivamo, il cammino sarà arduo e lungo, troppo lungo per le ansiose aspirazioni di una umanità affamata di ordine e di calma. Ma è inevitabile che così sia. E forse è anche meglio. Occorre prima lasciar sedare la bufera delle passioni sovreccitate: «motos praestat componere fluctus». È necessario che l’odio, la diffidenza, gl’incentivi di un nazionalismo estremo cedano il posto alla concezione di saggi consigli, al germogliare di pacifici disegni, alla serenità nello scambio di vedute e alla mutua comprensione fraterna.
Si degni lo Spirito Santo, luce delle intelligenze, Signore soave dei cuori, di esaudire le preghiere della sua Chiesa e di guidare nel loro arduo lavoro quelli che, secondo la loro alta missione, si sforzano sinceramente, nonostante gli ostacoli e le contraddizioni, di giungere al termine, così universalmente, così ardentemente bramato: la pace, la vera pace degna di tal nome. Una pace fondata e confermata nella sincerità e nella lealtà, nella giustizia e nella realtà; una pace di leale e risoluto sforzo per vincere o prevenire quelle condizioni economiche e sociali, le quali potrebbero, come già in passato, così anche nell’avvenire, facilmente condurre a nuovi conflitti armati; una pace che possa essere approvata da tutti gli animi retti di ogni popolo e di ogni Nazione; una pace che le generazioni future possano considerare con riconoscenza come il frutto felice di un tempo infelice; una pace che segni nei secoli una svolta risolutiva nell’affermazione della dignità umana e dell’ordine nella libertà; una pace che sia come la Magna Charta, la quale ha chiuso l’era oscura della violenza; una pace che, sotto la guida misericordiosa di Dio, ci faccia passare attraverso la prosperità temporale, in modo da non perdere la felicità eterna.
Ma prima di conseguire questa pace, è pur vero che milioni di uomini, presso il focolare domestico o nella guerra, nella prigionia o nell’esilio, devono ancora gustare l’amarezza del calice. Quanto Ci tarda di vedere la fine delle loro sofferenze e delle loro angosce, il compimento delle loro brame! Anche per loro, per tutta l’umanità, che con loro ed in loro soffre, salga all’Onnipotente la nostra umile e ardente preghiera.
Ci riesce intanto d’immenso conforto, Venerabili Fratelli, il pensiero che voi partecipate alle Nostre cure, alle Nostre preghiere, alle Nostre speranze, e che in tutto il mondo Vescovi, Sacerdoti, fedeli associano le loro suppliche alle Nostre nella grande voce della Chiesa universale. In attestato della Nostra profonda gratitudine e come pegno delle infinite misericordie e dei favori divini, a voi, a loro, a quanti sono a Noi congiunti nel desiderio e nella ricerca della pace, impartiamo dal fondo del cuore la Nostra Apostolica Benedizione.
Kärntner Nachrichten (June 2, 1945)
Gleiche Haltung Englands
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L’Aube (June 2, 1945)
Un message amical de Truman a de Gaulle
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Washington, 1 juin – La ligue de défense nippone à Okinawa s’est effondrée. Les Américains ont dénombré jusqu’à présent plus de 60.000 morts japonais. Le reste de la garnison, environ 25.000 hommes, est acculée dans le sud de l’île.